Neuromarketing nei negozi

1899 visualizzazioni - 15 Ottobre 2020 -
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Le attività commerciali si trovano ad affrontare un contesto di crescente complessità che richiede di ripensare i propri punti di forza e cogliere tutti i possibili spazi per aumentare la profittabilità dell’attività. In questo percorso di “ripensamento” è bene ricordare che l’esperienza dello shopping è fatta di tanti elementi di cui l’acquisto vero e proprio è solo una parte. Altre componenti, molto spesso trascurate, riguardano temi quali l’apprendimento, le emozioni, le relazioni umane, il piacere della scoperta e sono tutte aree su cui l’imprenditore può agire per rafforzare l’efficacia della propria proposta. Il neuromarketing ci aiuta a capire quali sono i meccanismi che regolano le decisioni dei consumatori.

Il viaggio del cliente nel negozio

La soddisfazione del cliente rispetto all’offerta del punto vendita – e, quindi, la probabilità che vi si rechi, che acquisti qualcosa e decida di tornarvi – è il risultato di una serie di fasi che costituiscono le tappe di un “viaggio” del cliente nel negozio (shopping journey).

E, proprio come in un viaggio, sono composte da un “prima” (si riflette sul bisogno, si cercano informazioni, si valuta la possibile destinazione), un “durante” (si visita il luogo, se ne scoprono le caratteristiche, si entra in contatto con le persone del posto) e un “dopo” (si ricorda l’esperienza, si racconta agli amici e si decide se vale la pena tornarci).

Poiché la soddisfazione complessiva del cliente è determinata dalla qualità e intensità delle esperienze in ogni singola fase del viaggio, un bravo negoziante deve provare a scomporle, analizzando, per ognuna, i punti di contatto tra cliente e negozio, identificando quelli più importanti e quelli su cui crede di dover e poter fare meglio. Si tratta di veri e propri momenti della verità per la loro capacità di incidere positivamente o negativamente sull’esperienza del cliente (e quindi sulle vendite).

In questa analisi, conoscere come funziona il cervello del cliente e, quindi, avere conoscenze anche di base del neuromarketing, è cruciale per il successo di un negozio.

Infatti, in un tempo in cui la crescita dell’e-commerce sembra mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa dei negozi fisici, il neuromarketing diventa un alleato fondamentale per un negoziante, perché vi sono importanti aspetti psicologici dello shopping che trovano la loro massima espressione proprio nei luoghi fisici e sono difficilmente replicabili online.

Pensiamo, per esempio, al delicato equilibrio tra assortimento e possibilità del cliente di trovare un prodotto non previsto, alla sorpresa che accompagna il piacere della ricerca e della “scoperta”, parti integranti dell’esperienza di acquisto.

I grandi player del digitale, proprio per le loro capacità di profilazione e gestione di big data, utilizzano algoritmi che propongono prodotti coerenti o compatibili con quelli precedentemente acquistati o con scelte di persone “simili a noi”. Nessun algoritmo di profilazione, per definizione, è in grado di generare l’effetto sorpresa, con il rischio di annullare la sorpresa nell’esperienza di acquisto.

Naturalmente ci arriveranno presto, prevedendo la proposta di una certa percentuale di prodotti “fuori profilo” all’interno di una proposta coerente col profilo, ma ci vorrà del tempo per raggiungere l’efficacia di un visual merchandising ben fatto all’interno di un negozio fisico.

Anche perché (e qui le neuroscienze fanno segnare un punto fondamentale a favore del negozio) è molto più semplice orientarsi in un negozio fisico (quando è pensato bene) per esseri umani che hanno sviluppato, in milioni di anni di evoluzione, un raffinato sistema per muoversi all’interno di spazi tridimensionali, riuscendo a percepire moltissime informazioni (in maniera cosciente e non) con un solo sguardo.

Difficilmente la presentazione dei prodotti online, sempre più spesso nei piccoli schermi degli smartphone, può competere con la tridimensionalità di uno spazio fisico. E stiamo parlando solamente della vista! Per tutti gli altri sensi non esiste nemmeno la possibilità di confronto (e, presumibilmente, per molto tempo ancora…).

Quanto è diverso, infatti, dal punto di vista dei 5 sensi, e quindi del neuromarketing, comprare un formaggio in un negozio gourmet dove profumi e sapori possono essere sapientemente utilizzati dal negoziante che “allestisce” la scena, rispetto a comprarlo online, navigando in una lista di immagini sullo schermo del proprio smartphone.

Come è spiegato nei dettagli nel volume “Neuromarketing nel Negozio”, della Collana Le Bussole di Confcommercio (da consultare a questo link), il primo passo del “Neuronegoziante” deve essere quello di curare con attenzione l’esterno del punto vendita: insegna, vetrina, ingresso, illuminazione, ecc. affinché la loro combinazione renda evidente la proposta commerciale ed aumenti l’attrattività del punto vendita.

Non dobbiamo dimenticare che il negozio, per il solo fatto di esistere, trasmette messaggi, e lo spazio esterno riveste il fondamentale ruolo di interfaccia (proprio come un sito web, altro “ingresso” da costruire con cura…), contribuendo ad attrarre l’attenzione del cliente, condizione necessaria a qualsiasi vendita, ed a comunicare immagine, identità ed atmosfera del negozio, che saranno percepite dal cliente non tanto in maniera razionale quanto, prevalentemente, attraverso i sensi, cogliendo la capacità comunicativa dell’insieme di colori, forme, dimensioni, illuminazione, ecc. “messi in scena” dal negoziante.

Analizzate dalla prospettiva del neuromarkting, le migliori tecniche applicate da decenni dai professionisti di visual merchandising su vetrine e allestimenti interni (come punto focale, schemi geometrici, densità espositiva, verticalità, compattezza, interruzione, adiacenze, simmetria, ecc.) si sono rivelate coerenti con gli automatismi del nostro sistema percettivo, ma non tutti i negozianti le sanno utilizzare.

Analogamente, molti trascurano l’importanza in termini comunicativi e simbolici dell’ingresso (momento fisico di passaggio dal fuori al dentro e anticipatore della successiva esperienza), mentre già Paco Underhill, nel suo celebre libro Why We Buy: The Science of Shopping, vera e propria analisi antropologica del comportamento del consumatore nel punto di vendita, offre importanti suggerimenti derivanti da 30 anni di osservazioni sul campo, come la necessità di uno “spazio di decompressione”, per dare la possibilità e il tempo al cervello del cliente di analizzare la nuova situazione.

L’illuminazione, il profumo, la musica d’ambiente, gli specchi, i manichini (nell’abbigliamento) e i percorsi espositivi sono tutti elementi che parlano ai sensi e al cervello del cliente, proprio come l’interazione col venditore.

Quest’ultima è, ovviamente, fondamentale nel commercio, considerando l’importanza evolutiva dell’interazione con altri esseri umani e, soprattutto, dello sviluppo di parti del cervello e di sistemi come i neuroni specchio, le emozioni, l’attenzione alle espressioni del viso, al linguaggio del corpo, ecc. che lavorano “in background” per facilitare/decodificare questa interazione. Eppure, quante vendite vengono perse ogni giorno per commesse che non conoscono il neuromarketing!

Anche il momento del pagamento, il più delicato perché l’ultimo dell’esperienza di acquisto in un negozio, ha bisogno di tempi, riti e accortezze suggeriti dal neuromarketing.

Il pagamento, infatti, è il momento in cui formalizziamo il passaggio di proprietà di un bene appena acquistato. L’emozione per la scelta effettuata è ancora alta e il cervello è già proiettato ad immaginare come sarà bello “vivere il prodotto” o, se si tratta di un regalo, quale sarà l’effetto sulla persona destinataria del dono. Tutta la magia dell’esperienza di acquisto e gli sforzi fatti dal negoziante per renderla memorabile possono, però, svanire in questo micromomento cruciale, troppo spesso sottovalutato, perché l’uscita, dal punto di vista psicologico, può essere associata alla sensazione di abbandono, soprattutto se l’esperienza appena vissuta è stata positiva.

Come ha dimostrato Daniel Kanheman, l’ultima parte di un’esperienza ha un peso più che proporzionale nel fissare il ricordo di quello che si è appena vissuto e, quindi, nel volerlo o meno ripetere. Eppure, nonostante tutti i negozianti sappiano bene che vendere un prodotto a un nuovo cliente è molto più difficile e costoso che venderlo ad un cliente abituale che ritorna, moltissimi concludono la vendita con un freddissimo: “adesso può passare in cassa”, mentre basterebbero piccole accortezze per valorizzare in positivo anche un momento di dolore per il cliente (ma necessario per il negoziante).

Come valorizzare il micromomento del pagamento?

Il primo e più importante accorgimento è quello di compensare il dolore della “perdita di denaro” (il pagamento, soprattutto se in contanti, attiva gli stessi circuiti neuronali del dolore) con la consegna del prodotto comprato attraverso un gesto “rituale”: dare valore alla consegna ritualizzando il passaggio del bene dal negoziante al cliente/nuovo proprietario lo ricompenserà della perdita di denaro, e se il prodotto acquistato avrà anche una confezione di lusso creata proprio per lui, questo attiverà nel cervello del cliente il meccanismo della ricompensa (e, soprattutto, sarà questo l’ultimo momento dell’esperienza che il cliente ricorderà).

Altri accorgimenti da non sottovalutare sono quelli di limitare il tempo di attesa in fila, ma non essere frettolosi nel momento del pagamento e fare un regalo inaspettato, un piccolo omaggio che scateni l’effetto sorpresa e il senso di reciprocità rispetto al dono, così come accompagnare all’uscita il cliente per non abbandonarlo subito dopo il pagamento. Aprire la porta e salutarlo con una stretta di mano, vuol dire riconoscere che si è instaurato con lui un rapporto che va oltre l’acquisto del prodotto e quindi dare valore alla relazione empatica instaurata tra negoziante e cliente.

In questa prospettiva, quindi, i neuronegozianti dovranno arricchire le proprie competenze e diventare fornitori di esperienze, intrattenitori e anche narratori di storie. E dovranno farlo prendendo spunto da altri luoghi, come il teatro o il cinema, in cui l’intrattenimento e il racconto sono di casa, come ci suggerisce Chip Averwater nel suo manuale Retail Truths. “Non si è nel business (del commercio) se non si fa spettacolo”.

Manuale di riferimento

COLLANA LE BUSSOLE

IL NEUROMARKETING NEL NEGOZIO

A cura di: Francesco Gallucci | Caterina Garofalo | Fabio Fulvio | Roberto Pone 
Editore: Confcommercio, Ainem

Le neuroscienze hanno da tempo dimostrato che esistono processi cognitivi ed emotivi di cui non abbiamo il controllo razionale e di cui siamo (parzialmente o totalmente) inconsci. Il neuromarketing, disciplina relativamente giovane che studia cosa provano e come decidono i clienti, può aiutare i negozianti a rivolgere l’attenzione ai propri clienti in modo nuovo, per capire meglio i loro comportamenti, i loro bisogni inespressi, cosa essi si aspettano di trovare in un negozio e, soprattutto, quali sono i meccanismi mentali che guidano le loro decisioni e cosa li rende soddisfatti e felici durante l’esperienza di shopping.

Alcuni suggerimenti forniti in questa guida sono già parte integrante del comportamento dei negozianti di successo, ma spesso vengono applicati come risultato di una spiccata capacità relazionale, doti di vendita o semplice buon senso. Oggi, grazie al neuromarketing e allo studio del cervello, siamo in grado di capire perchè certe azioni inducono determinati comportamenti.

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