Dall’idea all’impresa – Il Marketing Plan: la P di Prodotto (9/15)
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I cambiamenti sempre più veloci del contesto in cui operano le imprese rendono opportuno per ciascun operatore economico effettuare un “tagliando”, ossia una valutazione, ed un eventuale ripensamento, dell’impostazione, dell’organizzazione e della gestione dell’attività imprenditoriale.
Questa serie di articoli su come fare impresa in un mondo più difficile e competitivo rappresenta la naturale evoluzione della Bussola “Dall’Idea all’Impresa”, pubblicata qualche anno fa e, proprio come la Bussola, è dedicata a chi è già imprenditore e vuole ripensare la propria attività, a chi lo vuole diventare, e a chi lo diventerà, magari come conseguenza di un passaggio generazionale dell’attività di famiglia.
In questo nono articolo inizieremo la descrizione del Marketing Plan, che serve a mettere a punto tutte le decisioni che sono propedeutiche alle vendite, iniziando da che tipo di prodotto vendere (Product policy).
La decisione su quale tipo di prodotto o servizio vendere, in realtà, dovrebbe essere già stata delineata, eventualmente in linea di massima, nel precedente articolo “Dall’idea all’impresa – Il Business Plan (6/15)”.
In effetti potrebbe accadere che:
- nel BP si tracciano le indicazioni di massima dei contenuti del Marketing Plan, rinviando a questo ultimo (da elaborare successivamente) i dettagli delle decisioni;
- nel BP si inserisce nella parte 6 il Marketing Plan completo.
Ovviamente il Marketing Plan può essere redatto indipendentemente dalla creazione di un’impresa, o dal suo rilancio, ma semplicemente come adempimento annuale, visto che il marketing deve adeguarsi all’evoluzione del mercato, ed è quindi opportuno che ogni anno ciascuna impresa ne prepari una versione aggiornata.
Precisato questo, in questo articolo si esamineranno le possibili decisioni che possono essere prese nell’ambito della Product policy, rinviando ai prossimi articoli la descrizione delle possibili determinazioni relative alle altre 3P (Price policy, Promotion policy, Place policy).
Le decisioni relative alla Product policy
Quale prodotto dovrei offrire alla mia clientela? In altre parole, che caratteristiche deve avere?
Quando si tratta di decidere che prodotto vendere, bisogna normalmente fare una scelta relativamente ai seguenti aspetti di un prodotto (Product policy, che può essere relativa a un bene o a un servizio):
1) le caratteristiche del prodotto;
2) le dimensioni del prodotto;
3) il nome del prodotto;
4) la confezione del prodotto.
E’ bene chiarire che, sebbene le decisioni indicate sopra siano immediatamente comprensibili, quando riferite ad una merce, esse sono ugualmente valide per i servizi.
Infatti, anche per i servizi si pongono le stesse domande. Ad esempio, per un ristorante bisogna decidere il menu, la sua dimensione (il numero di piatti diversi), l’eventuale nome (es. cucina tradizionale romana), e anche la “confezione”, che in questo caso può consistere nel libretto che contiene il menu, o nell’allestimento della sala dove vengono serviti i pasti.
Ugualmente, un’agenzia di viaggi deve decidere quali tipi di vacanze vendere, la dimensione dei pacchetti (1, 2, 3 settimane), i nomi dei pacchetti (es. Thailandia esotica), e la confezione, ossia la brochure, o la pagina web del sito relativa a quella vacanza.
Queste considerazioni si possono replicare per molti altri settori dei servizi.
Le possibili decisioni sulle caratteristiche del prodotto
Quando si decidono le caratteristiche di un prodotto, bisogna innanzitutto considerare i seguenti elementi che influenzano la natura di un bene o di un servizio, o ne denotano la natura:
1) i fattori della produzione;
2) le modalità di produzione;
3) le prestazioni del prodotto;
4) la durata prevedibile del prodotto;
5) gli eventuali accessori al prodotto;
6) i servizi collegati al prodotto (es. assistenza);
7) le garanzie;
8) la gamma, ovvero le eventuali diverse versioni del prodotto.
Ovviamente, non tutti questi elementi sono pertinenti per tutti i prodotti. Ad esempio, per i prodotti alimentari contano le modalità di produzione (biologiche o meno), e il livello qualitativo (prima scelta, seconda scelta), mentre per il vestiario e accessori sicuramente hanno rilevanza i fattori della produzione (cotone, seta, lana, pelle, ecc.), le modalità di produzione (a mano, con macchinari), la garanzia, la gamma, che permette di scegliere il capo più adatto alle proprie esigenze.
Per i servizi dell’ospitalità contano la durata (orario del check in e del check out), gli accessori (colazione, pranzo, cena, aperitivo, servizio navetta, ecc.), la garanzia (es. il rimborso in caso di cancellazione della prenotazione), la gamma (stanze singole, per 2 persone, familiari, e diversi livelli di dotazioni).
Per ciascuno di questi aspetti (pertinenti per la merceologia di interesse) bisogna trovare un punto di equilibrio tra l’impatto sui costi derivanti dalle scelte effettuate a questo riguardo, e quindi sul prezzo finale del prodotto, e le aspettative dei clienti, in termini sia di caratteristiche del prodotto, sia della loro disponibilità a spendere una somma pari o superiore al prezzo del prodotto.
Spesso il giusto equilibrio lo si raggiunge dopo numerosi cambiamenti, e conseguente valutazione dei loro effetti sulle vendite.
Nell’ambito delle decisioni sulle caratteristiche del prodotto, una è particolarmente importante, e riguarda il livello qualitativo complessivo del prodotto.
Questa scelta incide naturalmente sul (o, meglio, deriva dal) posizionamento di Marketing, che abbiamo visto nell’articolo Dall’idea all’impresa – A chi e dove vendo il mio prodotto? (5/15), e lo stesso vale per le altre decisioni indicate in questo articolo e, più in generale, per le altre 3 P del Piano di Marketing (illustrate nei prossimi articoli), che devono essere tutte coerenti tra loro.
Come è noto, ci possono essere prodotti di bassa, media e alta qualità, circostanza che dipende principalmente dalle modalità di lavorazione e dalle materie utilizzate per la produzione del bene (o dalla qualità dei beni utilizzati per erogare il servizio).
Nel caso dei servizi conta molto anche la professionalità del soggetto erogatore. Per esempio, una cosa è se un pranzo viene preparato da un buon cuoco, un’altra se è predisposto da uno chef stellato.
Va detto però che, per quanto riguarda la qualità, occorre distinguere tra la qualità effettiva e quella percepita.
La qualità effettiva dipende essenzialmente dai materiali utilizzati e dai metodi di lavorazione, mentre la qualità percepita dipende dal marchio, dalla pubblicità, dal prezzo, dal paese di provenienza del prodotto, ed anche dal momento in cui il prodotto è venduto (es. un panettone venduto a marzo non verrà percepito di qualità come uno in offerta a dicembre).
Nel caso dei servizi, la qualità effettiva è proporzionale alla competenza del fornitore del servizio, mentre quella percepita dipende dalla fama, o dal prestigio, dell’erogatore del servizio, che, in alcuni casi, può essere legata al paese di provenienza, come può essere il caso di un sarto, che sarà più credibile se proveniente dall’Italia, piuttosto che dal Sudafrica.
E’ il caso di ricordare che i consumatori (e a volte anche gli operatori economici) valutano, ai fini delle scelte di acquisto, la qualità percepita, più che quella effettiva, per la quale spesso sono privi delle conoscenze necessarie per una sua corretta valutazione.
Ne consegue che, a volte, può essere conveniente investire di più sulla promozione, che include la pubblicità, che impatta sulla qualità percepita, piuttosto che sui fattori produttivi, che incidono sulla qualità effettiva del bene o del servizio.
Bisogna però essere consapevoli che un prodotto di bassa qualità, per quanto percepito all’inizio di qualità, difficilmente manterrà questa considerazione da parte degli acquirenti, che ben presto si accorgeranno dei difetti, oppure del modesto livello qualitativo del prodotto.
Per i commercianti è quindi necessario capire bene la qualità dei prodotti venduti, realizzati dai fornitori, ai quali bisognerà chiedere (ed ottenere) informazioni precise sulle materie prime utilizzate, (che possono avere diversi livelli qualitativi), sui macchinari e sugli strumenti utilizzati nel processo produttivo, e sul tipo di processo (che può garantire in modo diverso la qualità dei prodotti), e sull’esperienza dei lavoratori addetti alla produzione del bene, o del servizio.
Inutile sottolineare quanto sia poi opportuno verificare le informazioni ricevute.
Le possibili decisioni sulle dimensioni del prodotto
Molti prodotti vanno confezionati, e quindi bisogna decidere la dimensione della confezione. Questa necessità è evidente per i prodotti alimentari, ma esiste anche per altri prodotti, come quelli dell’abbigliamento, dei prodotti manufatti, e dei servizi.
Per esempio, giacca e pantaloni vanno venduti insieme o separatamente? O ancora, il ferramenta deve vendere i cacciaviti singolarmente, o per set di 7 cacciaviti? E nel campo dei servizi di estetica, il taglio dei capelli comprende o no il lavaggio con shampoo?
Anche in questo caso gli esempi potrebbero riempire molte pagine, ma in questa sede, rimanendo su un piano generale, si richiama l’attenzione sul fatto che le decisioni sulle dimensioni delle confezioni comportano la necessità di fare delle scelte in merito a:
- il numero delle confezioni (o prestazioni di servizio) di dimensioni diverse (es. minima, media, massima);
- il peso e/o il volume delle varie tipologie di confezioni (es. barattoli da 150 grammi, 500 grammi, 1 kg), o, nel caso dei servizi, le durate delle varie tipologie di servizio;
- la quantità minima e massima di confezioni (o di prestazioni) vendibili al pubblico (es. da 1 a 50 articoli);
- l’eventuale vendita abbinata con altri prodotti (o altri servizi), per cui vanno decise le dimensioni di ciascun prodotto venduto congiuntamente (es. valigia grande con valigia delle dimensioni del bagaglio a mano).
Tutte queste decisioni devono considerare una serie di fattori:
- l’eventuale differenziazione degli acquirenti in termini aggregativi (es. single, comitive, famiglie); ne consegue che minore è il numero di destinatari della singola confezione, minore dovrà essere, in linea di massima, la sua dimensione media;
- le abitudini ed i ritmi di consumo, che sono diversi a seconda della nazionalità (avendo ciascuna un proprio modello di consumo); per esempio in America centrale le confezioni di spaghetti sono da 200 grammi, mentre in Italia sono da 500 grammi o 1 kg, essendo più frequenti da noi i pasti a base di pasta;
- l’eventuale perdita di qualità del prodotto nel corso del tempo; un caso classico sono le bibite gassate, che se non consumate tempestivamente, perdono buona parte delle loro qualità organolettiche, e quindi in tali casi le confezioni grandi hanno un senso solo se consumate rapidamente (magari perché il nucleo familiare è numeroso);
- la stagionalità, che può far crescere o diminuire i consumi (es. i pub di città sono più frequentati nelle stagioni intermedie, mentre quelli delle località turistiche lo sono molto di più in estate o durante le vacanze di fine anno).
Le possibili decisioni sul nome del prodotto
Anche il nome ed il logo del prodotto hanno un certo peso nel guidare le scelte dei consumatori, come abbiamo ampiamente argomentato nel focus “Branding per piccole imprese” e negli articoli di approfondimento dedicati al branding, a cui si rimanda per approfondire l’argomento.
E’ facile immaginare che nessuno acquisterebbe una macchina che si chiama “lumaca”, o un vestito di una collezione intitolata “stracci costosi”.
Eppure la storia del marketing è piena di situazioni di questo tipo. Basti citare i seguenti casi, che hanno anche un evidente profilo comico:
- Estee Lauder (noto brand della cosmetica) aveva messo in vendita in Germania un profumo con il romantico nome in Inglese di “Country Mist” (nebbiolina di campagna), le cui parole però significavano in Tedesco “merda nazionale”;
- Mitsubishi (produttore giapponese di auto) aveva scelto per l’intero mercato mondiale il nome di “Pajero” per il suo suv di alta gamma, senza rendersi conto che nello slang spagnolo significa la persona che compie atti di masturbazione; di conseguenza lo stesso modello di auto fu ridenominato “Montero” per tutti i mercati di lingua spagnola;
- l’Alfa 164, venduta in Asia, ebbe un clamoroso insuccesso al momento della sua messa in vendita, e si capì che la colpa era del numero “164”, che nella cultura asiatica significa “morte diffusa”, per cui si corse ai ripari chiamandola “Alfa 168”, il cui numero significa invece “ricchezza diffusa”.
Chiarita l’importanza di questa decisione, è il caso di ricordare che le scelte da effettuare riguardano, più precisamente, le seguenti:
- la scelta del nome, ovvero della parola che rappresenta il prodotto;
- la scelta del logo, ossia dell’immagine legata al prodotto;
- la scelta dei caratteri, dei disegni, e dei colori con cui scrivere il nome e rappresentare il logo.
La scelta del nome e del logo deve considerare le diverse funzioni che svolgono questi elementi per il prodotto:
- consentire l’individuazione del tipo di prodotto;
- richiamare le caratteristiche positive del prodotto;
- ricordare il marchio dell’impresa produttrice;
- evitare doppi sensi, o significati negativi per altre culture (vedi gli esempi precedenti).
Inoltre, il nome e il logo di un prodotto devono soddisfare alcuni requisiti di base:
- essere facili da ricordare: per questo motivo i produttori di auto giapponesi scelgono parole latine per indicare i loro modelli, come dimostra il caso dell’auto più venduta al mondo, la Toyota Corolla;
- essere facili da pronunciare: in effetti le parole delle lingue neolatine hanno questa caratteristica, che invece non è posseduta dalla maggioranza delle parole delle lingue asiatiche e africane, e neppure da quelle delle lingue slave, scandinave, e anglosassoni;
- essere semplici e brevi: questo vuol dire non più di 10-12 lettere a parola, e al massimo 2-3 parole;
- stimolare emozioni: se possibile, il nome dovrebbe richiamare un concetto o un’immagine che ispira felicità, o serenità, o anche eccitazione;
- non essere confondibile con nomi di altri prodotti, in particolare di prodotti di altre imprese;
- tener conto del possibile significato, anche sottinteso, in altre lingue e culture: questo requisito va tenuto presente quando si hanno clienti esteri.
Anche per i caratteri, i disegni, e i colori, bisogna considerare il loro possibile significato alternativo (es. delle bandiere nazionali, o delle squadre di calcio), ed anche, in caso di clientela internazionale, la loro compatibilità con la cultura dei paesi di provenienza dei clienti.
Può infatti capitare che oggetti o simboli, che in Italia (o in una regione) non rappresentano nulla di spiacevole, possono invece richiamare concetti inopportuni a persone provenienti da altri luoghi.
Un esempio sono i fiori. In Italia il crisantemo è un classico fiore utilizzato nei funerali, mentre la rosa rossa è sinonimo di passione. Nella cultura ebraica la rosa rossa è il simbolo del peccato, mentre in India e in altri paesi asiatici i fiori bianchi, che nella nostra cultura rappresentano la purezza, vengono collegati al lutto, essendo usati nei funerali.
Stesso discorso si può fare per i colori. Per esempio, in Sudafrica il rosso è il colore del lutto, mentre il blu in Cina significa l’immortalità.
Una volta scelto il nome e il logo, bisogna accertarsi che esso non sia già stato registrato come trademark da altri operatori. A questo scopo è necessario un passaggio presso l’ufficio marchi delle Camere di commercio.
Le possibili decisioni sulla confezione del prodotto
Anche la decisione sulla confezione (o packaging) del prodotto è importante, visto che al momento dell’acquisto il cliente vede la confezione, piuttosto che il prodotto contenuto in essa.
Non è un caso che nella confezione, soprattutto nel settore alimentare, le immagini richiamano il tipo di prodotto (es. l’immagine del tonno nelle relative scatolette), o l’origine dei fattori della produzione (es. un campo di grano per dei biscotti).
Questa decisione è mediamente più complessa delle altre, essendo influenzata anche da normative, che a volte possono essere decisamente stringenti in materia di informazioni da riportare nell’etichetta.
Chiarito questo, gli aspetti della confezione tipicamente da decidere sono i seguenti:
- il tipo di materiale da usare per la confezione;
- i disegni da riportare sulla confezione;
- la scelta dei colori della confezione;
- il contenuto dell’etichetta (e quindi delle informazioni) da riportare sulla confezione.
La scelta del tipo di materiale per il packaging dipenderà dalle modalità di trasporto e di conservazione del prodotto, oltre che dalle regolamentazioni di settore (es. per i prodotti alimentari).
La decisione sugli aspetti grafici della confezione (disegni e colori) deve essere effettuata con la stessa attenzione che è stata raccomandata per il logo del prodotto, le cui considerazioni sono valide anche per questa decisione. Bisognerà quindi fare attenzione al significato attribuito a simboli e colori.
Per quanto riguarda il contenuto dell’etichetta riportata sul packaging, occorre verificare l’esistenza di eventuali norme, che in genere sono riportate nell’ambito delle regolamentazioni per le diverse merceologie.
Al di là dalle indicazioni normative, che segnalano il contenuto minimo delle informazioni da dare agli utenti dei prodotti, va valutato se riportare informazioni aggiuntive, che potrebbero essere gradite dagli acquirenti.
Fonti per le immagini:
shutterstock.com
Copertina Focus delle Bussole “Branding per piccole imprese”
Manuale di riferimento
DALL’IDEA ALL’IMPRESA
A cura di: Lorenzo Farina | Fabio Fulvio
Editore: Confcommercio | Giovani Imprenditori Confcommercio
Ogni anno, in Italia, nascono circa 300mila imprese totalmente nuove, non derivanti da scissioni o fusioni di imprese preesistenti, la maggioranza delle quali fondate da neoimprenditori, spesso giovani, senza nessuna esperienza imprenditoriale precedente.
Questo libro è dedicato a loro, e a tutti gli audaci che hanno un’idea e la vogliono trasformare in un’impresa, a tutti quelli che sono così folli da voler cambiare il mondo.
In nessun libro si può trovare la motivazione a diventare imprenditori, ma esistono tanti strumenti per capire se la propria idea può funzionare nel mercato, e quasi tutto dipende da come la si implementa.
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